giovedì, luglio 26, 2007

il mito degli impact factor e la valutazione

Da un lato è evidente la necessità di valutare la produttività scientifica di un accademico, e di trovare un modo oggettivo per farlo. Tutti noi che facciamo ricerca, pensiamo subito all'impact factor, che è il modo più "comodo" e "veloce" per dare una misura dell'importanza della rivista sulla quale pubblichiamo. Infatti, quando riusciamo a pubblicare con un alto IF, ce ne bulliamo subito.

D'altro canto, pensare di valutare gli stipendi di un docente o le dotazioni di un dipartimento sulla sola base degli Impact Factor è sbagliato.

I limiti dell'uso dell'impact factor, da un punto di vista prettamente tecnico, sono piuttosto noti. Per fare un esempio: se pubblico una review (chedi norma finsice su giornali di review, ad alto IF, e che di norma assicura un ragguardevole numero di citazioni) magari sono uno che legge tonnellate di letteratura scientifica, ma non è detto che faccia ricerca decentemente.
Per farne un altro: nel mio dipartimento, le tematiche di cui mi occupo mi permettono (se le ricerche funzionano) di pubblicare su riviste con IF piuttosto elevati, mentre i colleghi (stesso dipartimento!) che si occupano di radiochimica e chimica nucleare sono pressochè obbligati a pubblicare su riviste a IF molto più basso. Perchè la chimica nucleare e la radiochimica non se le fila più nessuno? Non lo so, ma questo è il dato di fatto. Non parliamo poi delle differenze tra aree diverse (peraltro già più facilmente correggibili con opportuni fattori).

Io però in realtà volevo aggiungere qualche altra considerazione, meno tecnica e più maliziosa.

Il mondo delle pubblicazioni scientifiche infatti non è un circolo di gentlemen: in certi casi può somigliare di più al mercato delle vacche.

Aggiungere un nome di un collega o di un sottoposto per "fare curriculum" è piuttosto semplice, e di conseguenza sfruttabile, se si è nella posizione di poterlo fare.
Pubblicare su riviste ad elevato impact factor può essere più facile per un gruppo di ricerca storicamente affermato e potente che non per un ricercatore che da solo o con pochi mezzi (anche di capitale umano) tenti nuove strade. L'autorevolezza del vecchio caposcuola che sottopone un articolo può avere un suo peso, magari marginale ma non tracurabile in caso di lavori diciamo così "borderline".
Esiste il (mal)vezzo dell'autocitazione, che quando uno ha superato un certo limite di pubblicazioni diventa un modo di drogare la propria valutazione in modo sensibile: quando scrivo un articolo, ci cito dentro tutti i miei articoli precedenti, ed ecco che il numero delle citazioni che mi riguardano sale vertiginosamente.
Poi c'è il fattore C.
Farò un esempio/scenario verosimile, basato su un mashup di situazioni che conosco bene.
Tra 2003 e 2004 ho raccolto i frutti di un ottimo periodo di ricerca, con una serie di pubblicazioni su riviste a indice d'impatto stratosferico (6-8). Il fattore C ha avuto il suo peso. Una valutazione di quell'anno accademico mi avrebbe visto lo stipendio aumentare? Bene.
Nel biennio successivo, chissà, magari ho lavorato un pò meno perchè sono diventato padre, oppure ho iniziato linee di ricerca nuove, o ho provato a strappare il cordone ombelicare con il vecchio mentore. O semplicemente ho avuto un po' di sfiga (mancanza di fattore C): un laureando inconcludente, la mancanza di soldi (magari perchè il ministero ha dato meno fondi), il tempo che sparisce perchè mi affidano un corso da 9 crediti a sorpresa e non posso rifiutarmi di farlo per il bene del dipartimento etcetc.
Risultato: qualche buon articolo, come autore di riferimento, ma niente a che vedere (IF tra 2 e 4) con quelle di due tre anni fa. Cosa mi dovrei aspettare, lo stipendio che si abbassa "sotto quello di un docente di scuola superiore"? E perchè?
Certo, sul lungo periodo un bravo ricercatore verrà (o tornerà) a galla, ma sul breve (e breve può vuoler dire anche qualche anno) il fattore C, unito a quanto detto sopra può avere effetti nefasti.

Insomma, quello che temo è che affidare l'incremento stipendiale a una misura che si basi unicamente sull'impact factor o su parametri ritenuti meccanicamente oggettivi ad esso legati (e quindi molto rigidi) rischierebbe di penalizzare non tanto i baroni (che avendo a disposizione tante risorse riusciranno comunque ad avere un certo numero di pubblicazioni decenti assicurate), quanto i ricercatori più giovani e/o meno legati a gruppi di ricerca affermati, o chi si occupa di topics poco trendy.

E allora? Niente valutazioni di questo tipo?
Certo che no. Chiunque bazzichi il mondo della ricerca sa che ci sono tanti altri "meriti" di cui tenere conto contestualmente a IF e citazioni. Capacità di fare da mentore (coordinare tesi di laurea e dottorato, per esempio), che esce dal contesto puramente didattico e si situa più vicino a quello della ricerca. Capacità di collaborare con istituzioni ester(n)e. Capacità di farsi finanziare progetti di ricerca. Partecipare a congressi internazionali per presentare i propri risultati. Essere invitati (e essere disponibili, e essere capaci) a tenere conferenze internazionali. Solo per citare le prime che mi vengono in mente.

lunedì, luglio 23, 2007

ecce bombo 2.0

D'accordo, i 40 li ho passati, però da poco. Quindi non può essere questo. D'altronde, a prescindere dal piccolo problema di età anagrafica, dovrei essere nel target della faccenda.

Leggo un mucchio di libri, giornali, blog, ho un dottorato, sono di sinistra, non massimalista, mediamente insoddisfatto delle azioni del governi di centrosinistra viste in questi lustri. Lavoro in università, non mi sono mai sottratto, nel mio piccolo, alla azione "politica" e ai meccanismi di rappresentanza. Mi sono candidato, mi sono iscritto, ho partecipato, in qualche caso ho rotto le palle. Insomma, credo nell'impegno politico. E ualter non mi sta nemmeno antipatico, anzi.

E allora perchè imille non convincono, non del tutto, almeno?


Magari conta il fatto che la parte più imbarazzante delle proposte per salvare la nazione siano quelle sulla riforma dell'università, per quanto sono approssimative e tranchant. Magari il problema è mio, che quando leggo proposte che in 8 (8!) punti piuttosto generici pensano di sistemare una delle realtà più complesse del creato mi vien da metter mano alla pistola.
(sulla faccenda degli impact factor ci vorrebbe un post apposito, ora magari ci penso, comunque spulciando nei commenti al post succitato si trova qualcosa di sensato)

O forse è quella nuance, appena accennata, di elitario che si avverte?

O forse il fatto che si dice in giro che già perdono qualche pezzo, ma loro dicono che non è vero e che ciò li renderà più forti, già si dice che litigano, ma loro dicono che non è vero e che sono i giornali, e a uno gli gira la testa dai dejavu (però ci si convince che davvero devono essere di sinistra, allora!).

C'è questa vaga sensazione di velleitarismo? Ma ben venga, perdiana. Senza un po' di velleitarismo, cose del genere non si iniziano nemmeno.
Alla fine, stamane ho capito: nel consuntivo del primo mese di attività si parla, oltre che della gestione di un blog e di un indirizzo email, di un happy hour e una scampagnata. A Parigi. Nella quale erano in dieci. Di cui due spagnoli. All'ape invece hanno litigato perchè han sbagliato a mandarsi le email. Ci fosse ancora il Moretti di una volta (e non l'ispiratore di girotondi e autoconvocati, di cui i mille paiono epigoni, un po' più hype), partirebbero gli schiaffoni, magari all'urlo "LA RIVOLUZIONE NON E' UN PICNIC!".


(comunque, prima che lo dica qualcuno, lo ricordo io: a me piace d'alema, quindi questo post è del tutto gratuito. e poi benvenga tutto quanto segnato dalla onesta buona volontà, eccech...)

venerdì, luglio 20, 2007

il grande twittatore

Il buon vecchio miic mi ruba il tempo e fa il post che avrei voluto fare io sul twitter di ùalter. Compreso lo sconcerto per l'immagine dello sfondo. Farei solo una precisazione: anche chi ha una discreta cultura cinefila rimane basito (e se crede a un sottotesto ironico in prima battuta propende per un fake).
Se poi uno dovesse proprio criticare qualcos'altro, fa sorridere che dopo quasi un mese di twitter, nella sua lista dei seguiti (8) ci siano Edwards, Obama e la Merkel, (i quali, a prima vista dicono poco di interessante). Della serie, "mi faccio la cumpa di statisti", invece di drizzare le antenne su cosa gira davvero in giro. Però chissà, magari potrebbe prendere in prestito questa idea di Edwards.
In ogni caso ùalter qualcosa di veramente grave lo ha fatto: si è dimenticato di aggiungere il suo vicino di casa!

mercoledì, luglio 18, 2007

"this is what I call a supergroup"

Poi uno dice che il web 2.0 son tutte fregnacce.
Se non mi fossi innamorato di twitter e di tutte le sue potenzialità, non mi sarei mai messo a giocare con twittytunes e twitterdj (che lavorano insieme a foxytunes, ennesima estensione di firefox ultracomoda) e chissà quando avrei scoperto questa favolosa chicca che riunisce oltre 40 anni del miglior pop/rock inglese: Zak Starkey, Mani, Graham Coxon e Paul Weller.

martedì, luglio 10, 2007

"beato te che fai quello che ti piace"

La ricerca is burning
Il tormentone estivo dei ricercatori italiani precari da crisi di riso (isterico). La fotografia della mia vita, fino a pochi anni fa (e non che ora sia migliorata in maniera essenziale, pur avendo superato lo scoglio del precariato, che si sappia!)

free lance

giovedì, luglio 05, 2007

comunque, mai più


Il congresso è finito, è stato un successo internazionale. Nonostante il sito stile anni '90, nonostante le banche italiane e gli albergatori, nonostante i colleghi imboscati, il boss che rema contro, nonostante l'ansia da prestazione.

Un line-up scientifico di assoluta eccellenza (tra gli altri un premio Nobel gran signore e un mago della chimica che ha divertito tutti facendo il prestigiatore durante la conferenza) ha avuto la sua importanza, certo.
Però. Io ho l'impressione che le numerose email di complimenti all'organizzazione siano dovute più che altro al clima rilassato, assicurato a monte dalla cura maniacale di certi dettagli logistici (tipo un curatissimo servizio navette da aeroporti e stazioni) e conviviale. Circa 700 bottiglie di vino, procurate dal sottoscritto tra i migliori produttori dell'oltrepò hanno sicuramente aiutato. Il welcome buffet in piscina. Sessioni poster accompagnate a salame di varzi e rosè da 14 gradi fanno il loro effetto. Rossi da urlo a pranzo. Se dai da bere, la festa funziona, non c'è nulla da fare, che si tratti di adolescenti brufolosi o di seriosi (?) scienziati. E alla cena sociale finisce che anche i giapponesi cantano funicolì funicolà e azzurro (grosso aiuto dai fogli con il testo sotto il piatto di ogni commensale).

E' stato il primo congresso scientifico, che io sappia, ad avere anche una salumeria tra gli sponsor, alla quale faccio volentieri ulteriore pubblicità, date la simpatia del proprietario e la bontà del salame.

Alla fine viene da chiedersi se ne è valsa la pena, di buttar via 3 mesi di lavoro full-time (più un paio part-time). Dato che il mio lavoro dietro le quinte (si veda foto) ha avuto un riconoscimento relativo, dato che comunque tra un mese nessuno se ne ricorderà più, dato che il grosso dei complimenti se li è presi il garnde capo.. Cosa rimane? Beh, la soddisfazione di aver vinto una sfida con sè stessi. Un assegno cospicuo o un posto da associato sarebbero stati meglio, però anche così va bene.